La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 21992 del 2019 ha stabilito che il commercialista che trattiene illecitamente per sé le somme dei clienti per pagare oneri fiscali e previdenziali commette reato di appropriazione indebita aggravata in ragione del rapporto di fiducia tra cliente e professionista che agevola la commissione del delitto, in quanto soggetto incaricato della tenuta della loro contabilità.
In particolare, il professionista proponeva ricorso in cassazione lamentando l’assenza di dolo per aver egli abbandonato la professione che rimaneva in capo allo studio associato. Il ricorrente ha invocato la sua buona fede, dimostrata dalla sua disponibilità a collaborare con il commercialista succedutogli per valutare le posizioni fiscali dei clienti. Egli inoltre ha affermato la mancanza di prova del fatto che la provvista consegnata dai clienti non fosse stata movimentata, con la conseguente esclusione di qualsiasi appropriazione o profitto.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso e confermato l’appropriazione indebita eccependo anche l’aggravante per abuso della prestazione d’opera quale professionista incaricato.
I giudici di legittimità hanno escluso il carattere colposo delle condotte dell’imputato in conseguenza della contemporanea pendenza di un giudizio di separazione personale che coinvolgeva il professionista.
Inoltre a sostegno del dolo, la Corte ha rilevato che gli inadempimenti si sono protratti per diversi anni senza che il professionista ne desse notizia ai clienti o restituisse le somme, nonostante la condanna in sede civile.
La Corte ravvisa nel comportamento del commercialista anche gli estremi dell’abuso di relazioni di prestazione d’opera che integra la circostanza aggravante ogni qualvolta:
- Si instauri un rapporto di fiducia reciproca che agevoli la commissione del reato
- Il rapporto giuridico tra le parti comporti, a qualunque titolo, un vero e proprio obbligo di facere
Nel caso di specie sono stati riconosciuti entrambi i requisiti nel rapporto instaurato tra imputato e clienti-parti offese.
Secondo la Corte, l’imputato ha tratto un illecito vantaggio dal rapporto d’0opera instaurato con la propria clientela, approfittando delle condizioni favorevoli create dal preesistente rapporto di lavoro, il che rende palese la sussistenza di tutti gli elementi strutturali della applicata aggravante.